A Chiara

Swamy Rotolo Jonas Carpignano A CHIARA 3983

Quattro anni dopo lo splendido A Ciambra, Jonas Carpignano torna alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes con A Chiara, titolo che “brinda” alla sua omonima protagonista (Swamy Rotolo, magnetica), quindicenne che di punto in bianco, senza alcun preavviso, scopre che il padre traffica droga per la ‘ndrangheta. Al solito contraddistinto da uno sguardo immersivo che restituisce la sensazione di vivere un qui e ora che si disvela di pari passo alla fruizione (anche grazie al decisivo apporto del direttore della fotografia, Tim Curtin), il cinema di Carpignano è ormai tutt’uno con le sfaccettate realtà che popolano il territorio calabro, con Gioia Tauro ambiente d’elezione tale da consentire anche una breve incursione nei luoghi popolati dai personaggi del precedente film (la baracca della famiglia rom Amato, oltre alle brevi partecipazioni del giovane Pio, ormai alle soglie dell’età matura, e di Koudos Seihon, già protagonista di Mediterranea e presente anche in A Ciambra). Per certi aspetti, in questo caso soprattutto nella prima parte del film, quella in cui si rappresenta la tenera unione della famiglia Guerrasio (in realtà a recitare è tutta la famiglia Rotolo), culminante nella festa dei 18 anni della figlia primogenita, sembra quasi di ritrovarsi in un’opera di Kechiche, con la vita, i suoi suoni, rumori, canzoni, musiche (per inciso, curate da Dan Romer e Benh Zeitlin, sì, il regista di Re della terra selvaggia e Wendy), che esplode insieme all’oggetto filmico e ai suoi soggetti coinvolti. Sarà invece tutt’altra esplosione – quella di un’auto – a stravolgere l’esistenza della giovane protagonista e a mutare definitivamente le traiettorie dell’intero racconto. Che si fa inesorabilmente più cupo, con venature thriller, nel momento in cui Chiara decide di sfondare quel muro “protettivo” che la separa dalla verità sull’amato padre, ora latitante. Inizia così una storia di vite sotterranee (letteralmente), di intrecci fino a quel momento impensabili, una vera e propria rete che, giocoforza, finirà per tenere imbrigliata per sempre l’esistenza della ragazza. A meno che… Ecco, A Chiara – che conferma comunque il punto di vista mai giudicante di un regista empatico come Carpignano – è la possibilità di un brindisi per un compleanno futuro (quello dei 18 anni) da poter festeggiare lontano dai legami di sangue, comunque insieme a nuove persone care. È la scelta possibile, quanto mai dolorosa, coraggiosa, di affrancarsi da un presente e da un futuro segnati, eredità non richiesta dalle giovani generazioni, figlie di un destino scritto a suo tempo da altri. L’utopia, realizzabile, di svincolarsi da logiche mafiose e patriarcali e diventare artefici del nostro divenire.